Giovanni de Brito, asceta martire in India

Giovanni de Brito, nato a Lisbona nel 1647, fu paggio del futuro re Don Pedro. A 11 anni, guarito per intercessione di san Francesco Saverio, cominciò a indossare per devozione l’abito dei gesuiti. A 15 anni entrò nel noviziato della Compagnia. Durante la formazione chiese di essere inviato nelle mi...

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Detalles Bibliográficos
Autor principal: Silva Gonçalvez, Nuno da (-)
Formato: Artículo
Idioma:Italiano
Ver en Red de Bibliotecas de la Archidiócesis de Granada:https://catalogo.redbagranada.es/cgi-bin/koha/opac-detail.pl?biblionumber=487340
Descripción
Sumario:Giovanni de Brito, nato a Lisbona nel 1647, fu paggio del futuro re Don Pedro. A 11 anni, guarito per intercessione di san Francesco Saverio, cominciò a indossare per devozione l’abito dei gesuiti. A 15 anni entrò nel noviziato della Compagnia. Durante la formazione chiese di essere inviato nelle missioni di Oriente. Completati gli studi a Goa, fu destinato alla missione del Madurai, dove ottenne molte conversioni, specialmente tra i più poveri. In India i gesuiti erano presenti in due province: Goa e Malabar. La prima comprendeva i possedimenti posti sotto l’amministrazione portoghese, dove i missionari non dovevano cambiare molto nello stile di vita. Invece la provincia di Malabar comprendeva un territorio nel quale l’influsso portoghese era stato in gran parte eliminato e aveva Madurai come territorio principale di missione. In questa provincia i missionari, specialmente quelli dell’interno, dovevano cambiare completamente il loro stile di vita, adattarsi ai costumi indiani, vivere sotto il dominio delle autorità locali ed essere soggetti alle loro leggi. Al contrario di quanto accadeva a Goa, i religiosi non avevano mezzi per offrire protezione ai convertiti in un tempo di persecuzioni, e non potevano difenderli nei conflitti locali. In queste circostanze, le uniche armi dei missionari erano la catechesi, la santità personale e la fiducia nell’aiuto divino. Dopo essere scampato a una condanna a morte, fu richiamato in patria per via della sua elezione a procuratore della Provincia. Mentre si trovava in Portogallo, conservò molte delle abitudini che seguiva in India: continuò a dormire su una stuoia e a cibarsi soltanto di vegetali. A chi si meravigliava di questi suoi atteggiamenti, rispondeva che i suoi fratelli a Madurai conducevano una vita molto più eroica e penitente, esposti a pericoli continui, e aggiungeva che, essendo desideroso di ritornare in India, voleva mantenersi in forma per rientrare in azione, se gli fosse stato permesso. Come appunto poi avvenne. Al suo ritorno in India, per gravi contrasti con un rajah, e in particolare a causa della avvenuta conversione di un parente di questi, fu arrestato e decapitato nel 1693. La sera prima dell’esecuzione scrisse al p. Francisco Laínez, superiore della missione: «La colpa di cui mi accusano è di insegnare la legge di Dio Nostro Signore, e che in nessun modo si devono adorare gli idoli. Quando la colpa è una virtù, la sofferenza è una gloria». Fu canonizzato da Pio XII nel 1947, nel terzo centenario della sua nascita.