Sumario: | Nel 1905 Edmund Husserl, inaugurando un ciclo di lezioni «sulla coscienza interna del tempo», dichiarò che le riflessioni sul tempo sviluppate da sant’Agostino nel libro XI delle Confessioni restavano insuperate. Così come restava intatta la validità dell’affermazione relativa al tentativo di definire esattamente la natura del tempo: «Si nemo a me quaerat, scio, si quaerenti explicare velim, nescio».
A distanza di molti decenni, dopo tanti progressi della scienza, dopo la rivoluzione tecnologica, l’avvento della sensibilità postmoderna, della società liquida, della Rete, è ancora valida la notazione di Husserl? Si può cioè sostenere che una questione tanto cruciale nell’esistenza dell’uomo, che vive calato interamente nella dimensione temporale, sia ancora inchiodata alle osservazioni di un pensatore, sia pure d’eccezione, vissuto nel IV secolo d.C., in un contesto radicalmente diverso da quello attuale? È possibile quindi ritenere che i progressi della scienza non abbiano in alcun modo scalfito la sostanza filosofica del discorso agostiniano?
Una risposta positiva sarebbe clamorosa. Specialmente in un’epoca in cui tutto sembra ruotare attorno alla questione del tempo, visto però sempre come qualcosa di brutalmente materiale, come una cosa da usare, più o meno, a proprio piacimento.
La nostra convinzione è che, da un punto di vista filosofico e scientifico, ciò che è stato formulato da sant’Agostino mantiene la propria validità, perché le sue considerazioni hanno messo in luce alcuni elementi destinati a rimanere quasi sommersi, prima di riaffiorare all’interno della riflessione kantiana sulla temporalità, aprendo la pista alla successiva prospettiva scientifica.
In effetti, nessun tentativo – secondo una prospettiva scientifica, empirica o razionale – di risolvere in termini definitivi la questione del tempo è andato a buon fine. E questo per il semplice motivo che il tempo non è un oggetto di cui si possa fare esperienza. Insomma, ciò che si può fare per un qualsiasi fenomeno naturale del mondo fisico, non lo si può fare per quell’«enigma intricatissimo» che è nella coscienza del soggetto. Perciò, sulla scia di Agostino e di Kant, e sulla scorta delle persistenti incertezze della scienza, crediamo che il tempo abbia una natura soggettiva e che questo vero e proprio schema mentale al limite sia stato influenzato – per quanto riguarda il modo di percepirlo o misurarlo, ma non nella sua essenza – dall’evoluzione biologica e socio-culturale dell’uomo.
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