Parhesia la libertà di parola nel primo cristianesimo

Il filosofo Michel Foucault definisce la parrhesia come «la franchezza, l’apertura di cuore, l’apertura di parola, l’apertura di linguaggio, la libertà di parola». Non si tratta però di dire ciò che si vuole nella forma che si vuole, perché la parrhesia è per sua natura un atteggiamento etico, in qu...

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Detalles Bibliográficos
Autor principal: Cattaneo, Enrico, 1912-1986 (-)
Formato: Artículo
Idioma:Italiano
Ver en Red de Bibliotecas de la Archidiócesis de Granada:https://catalogo.redbagranada.es/cgi-bin/koha/opac-detail.pl?biblionumber=487092
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Sumario:Il filosofo Michel Foucault definisce la parrhesia come «la franchezza, l’apertura di cuore, l’apertura di parola, l’apertura di linguaggio, la libertà di parola». Non si tratta però di dire ciò che si vuole nella forma che si vuole, perché la parrhesia è per sua natura un atteggiamento etico, in quanto quel che si ha da dire, lo si dice «sia perché è necessario, sia perché è utile, sia infine perché è vero». Dunque la parrhesia è legata alla verità e al bene, e ciò esclude da essa la calunnia, la diffamazione, la disinformazione, mentre è ammessa la satira. È interessante esaminare come i primi cristiani, e in particolare gli apostoli e i martiri, hanno esercitato la parrhesia sia all’interno delle comunità dei credenti – in cui i rapporti sin da principio risultano essere caratterizzati dalla franchezza, sempre salvaguardando la carità – sia nei confronti dello Stato romano. I cristiani erano cittadini leali, pregavano per l’imperatore e per le pubbliche autorità, ma rifiutavano di obbedire a quegli ordini o a quei costumi che implicavano un riconoscimento dell’idolatria o calpestavano la dignità umana. Per questo «il martire è il “parresiasta” per eccellenza», come scrive lo stesso Foucalt. Qui si vede come la parrhesia possa essere espressa anche senza parole, nel rifiuto di compiere un determinato gesto per motivi di coscienza. Su questo tema è interessante in particolare analizzare il più antico testo cristiano disponibile (all’infuori del Nuovo Testamento) che è probabilmente la cosiddetta Lettera di Clemente Romano ai Corinzi, o Prima Clementis, in cui il termine parrhesia compare esplicitamente. La maggioranza degli studiosi data la lettera al 96/97, subito dopo l’uccisione dell’imperatore Domiziano, che negli ultimi anni del suo regno aveva infierito contro giudei e cristiani. Nella Lettera questa franchezza o libertà di parola nei riguardi degli uomini riveste la duplice faccia della laudatio e della vituperatio, ma senza giungere agli estremi dell’adulazione o dell’insulto. Infatti, uno dei concetti chiave che guidano la parrhesia cristiana, e il pensiero di Clemente in particolare, è quello della epieikeia, che significa «attenzione alla situazione concreta», e quindi «comprensione», «mansuetudine» o «moderazione». Si tratta di vedere il bene che già c’è, e anche di mettere in evidenza quello che manca o che fa da ostacolo.